«Voglio sapere perché sono così lenta» sussurrò la lumaca.
Allora il gufo aprì i suoi enormi occhi rotondi e la osservò attentamente. Poi li richiuse.
«Sei lenta perché hai sulle spalle un gran peso» spiegò il gufo. La lumaca trovò la risposta poco convincente, il suo guscio non le era sembrato pesante, non la stancava portarlo e non aveva mai sentito un’altra lumaca lamentarsene.
Allora le disse al gufo e aspettò che quello finisse di ruotare la testa sul collo. […]
«Tu sei una giovane lumaca e tutto ciò che hai visto, tutto ciò che hai provato, amaro e dolce, pioggia o sole, freddo e notte, è dentro di te, e pesa, ed essendo così piccola quel peso ti rende lenta. «E a che mi serve essere così lenta?» sussurrò la lumaca. «A questo non ho una risposta. Dovrai trovarla da sola» disse il gufo. E con il suo silenzio indicò che non voleva altre domande».
Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza
Salta subito all’occhio che ci troviamo di fronte ad una comunicazione chiusa, veloce, monodirezionale, fatta di poca attenzione all’altro e di una grande voglia di dare risposte facili e scontate.
Potremmo dire, non sbagliando, che l’incontro è immagine di un modello relazionale asettico, autoritario, dove forte è il controllo per limitare e ridurre al minimo le possibilità di approfondire la relazione educativa. Lo scopo è quello di dare una risposta plausibile e non di accompagnare la dinamica di ricerca.
Proviamo a descrivere i caratteri di questo atteggiamento pastorale:
– Il primo carattere è la distanza
– Il secondo carattere è la risposta scontata
– Il terzo carattere è l’allontanamento
La comune matrice delle tre caratteristiche dell’atteggiamento pastorale appena descritto, è sicuramente la fretta. È una relazione, quella da cui siamo partiti, che si consuma in modo veloce, quasi a voler dire la volontà di smarcarsi da una situazione che sembra diventare troppo coinvolgente e quindi complicata.
Il valore della lentezza e della calma
Il catechista/educatore paziente, che fa sua la virtù educativa della lentezza, non domina lo spazio relazionale, ma vive, con tutta la sua esperienza, il processo di accompagnamento che sorge dal desiderio di sentirsi accompagnato e sorretto nel suo impegno.
La prima abilità di un catechista/educatore “lento”, di una comunità “lenta” si rivela proprio nel cogliere le ansie e i desideri che la persona esprime con modalità diverse; nella capacità di leggere, nella trama narrativa dell’esistenza di chi si accompagna, il desiderio di felicità.
Lasciarsi coinvolgere, genesi dell’accompagnamento
«Sono una tartaruga» esclamò quell’essere vedendo che la lumaca allungava il collo per guardarla.
La lumaca non aveva mia visto un animale di quelle dimensioni che non suscitasse paura. […] La tartaruga cominciò ad avanzare e ad ogni passo che faceva, pur muovendosi lentamente, molto lentamente, obbligava la lumaca a uno sforzo enorme per non restare indietro.
Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza
Il catechista/accompagnatore non può limitarsi a indicare verso quale direzione andare ma, per un tratto di strada, deve prendere su di sé la vita dell’altro; deve mostrare come nella sua vita il Signore Gesù si è rivelato, perché l’altro possa riconoscerlo nella propria vita e realizzare, così, la propria esistenza.
La capacità educativa di coinvolgersi, di farsi carico è caratterizzata da alcuni atteggiamenti fondamentali, provo a identificarne quattro.
- Il primo è l’accettazione incondizionata
- Il secondo atteggiamento è la stima e il rispetto della vita e dell’essere del ragazzo. Promuovere con la stima e con il rispetto quei comportamenti funzionali alla crescita.
- Il terzo atteggiamento è la gentilezza.
- L’ultimo atteggiamento è l’ottimismo.
I quattro atteggiamenti tratteggiano uno stile di accompagnamento che potremmo definire un guardare al cuore. Guardare al cuore è comprensione empatica dell’altro, disponibilità a esplorare con l’altro le profondità della sua soggettività e del suo ministero. Il catechista/accompagnatore accogliente è capace di prendersi cura; riveste la sua presenza di accuratezza empatica per la quale accompagna il credente nella maturazione della sua fede.
Accompagnare cuore della “generatività”
«Ti posso accompagnare?» sussurrò la lumaca.
«Dimmi prima cosa cerchi» rispose la tartaruga, e la lumaca spiegò che voleva conoscere i motivi della propria lentezza e anche avere un nome […]
La tartaruga cercò con più calma del solito le parole per replicare e le raccontò che durante la sua permanenza presso gli umani aveva imparato molte cose. Per esempio che quando un umano faceva domande come del tipo: «È necessario andare così in fretta?» oppure «Abbiamo davvero bisogno di tutte queste cose per essere felici?», lo chiamavano Ribelle.
«Ribelle, mi piace questo nome!» sussurrò la lumaca. «A te gli umani hanno dato un nome?» «Si, visto che non ho mai dimenticato la strada di andata né quella del ritorno
mi hanno chiamato Memoria… ma poi sono stati loro a dimenticare me.»
«Allora, Memoria, proseguiamo insieme?» domandò la lumaca.
«D’accordo, Ribelle» rispose la tartaruga, e girando su stessa lentamente, molto lentamente, le spiegò che sarebbero tornate sui loro passi perché voleva mostrale qualcosa di importante. Qualcosa che le avrebbe fatto capire che erano compagne di strada fin da prima di conoscersi.
Luis Sepúlveda, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza
L’accompagnare nasce dal desiderio di coinvolgersi con colui che si accompagna, di guardare al cuore; la fiducia sprigionata da una presenza sacerdotale positiva, gioiosa, accogliente, realizza un miracolo: l’accompagnato lascia che sia l’animatore a “pronunciare il suo nome”.
Generatività del catechista
Generatività vuol dire appassionarsi del futuro di coloro che si educano, partecipare alla costruzione di un mondo migliore, in cui tutti possano esprimere le proprie potenzialità. Generatività è, appunto, pronunziare il nome di chi si educa, restituire la bellezza e l’originalità della sua identità, in una relazione educativa in cui l’educando si rivede nello sguardo appassionato e speranzoso di chi educa. Per lo stesso principio, la comunità ecclesiale è chiamata a rigenerare sempre nella fede i suoi figli, accompagnandoli nei passaggi di vita più critici.
L’accompagnamento è caratterizzato da tre tensioni fondamentali: la fiducia, il sostegno e la progettualità.
- Fiducia: La fiducia fonda l’autorevolezza del C/E. Il soggetto in formazione si lascia dire, è disponibile a lasciarsi accompagnare e orientare perché legge nello sguardo e nei gesti del C/E il bene e il desiderio di bello per lui e percepisce nella sua vita la Bellezza della vita vissuta nel Vangelo.
- Nel sostegno, il C/E fa sentire la persona accolta e compresa. Ogni processo formativo è dinamismo costante di crisi e nuovi equilibri, è faticoso, è dispendioso e quindi non può essere un’avventura solitaria.
- La progettualità sintetizza tutta la fecondità dell’accompagnamento, che ha, come fine ultimo, l’autonomia.
La tartaruga del nostro racconto si chiama Memoria. A questo punto possiamo comprendere come, più che di un nome, per noi è l’indicazione di uno stile di presenza educativa. Colui che accompagna è la memoria di chi è accompagnato: attraverso la ricchezza della sua esperienza di vita e di fede, egli è come uno scrigno da cui, l’accompagnato può attingere quella Sapienza necessaria al suo cammino di ricerca.
Appunti tratti dall’intervento di don Salvatore Soreca, Ufficio Catechistico nazionale, tenuto nella Concattedrale di Taranto nel settembre 2015.
A cura di Paolo Simonetti