Accanto ad ogni «cercatore di Dio» deve esserci uno che in qualche modo possa dire: Dio esiste, io l’ho incontrato!

La Tappa Crismale: superare la crisi

Spunti per affrontare la sfida rivolta alla catechesi

Questa scheda è rivolta ai catechisti. Si suggerisce di utilizzarla durante un incontro di formazione per condividere idee e proposte su un tema di crescente interesse: annunciare la fede negli anni della Tappa Crismale e in quella Mistagogica.

Dopo una serie di richiami ai più importanti testi del Magistero della Chiesa, si offre una sintesi tratta da alcuni interventi di fratel Enzo Biemmi.

Uno sguardo di vicinanza – La Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana.

Evangelii Gaudium 169

Una relazione che si trasforma nel tempo – La credibilità dell’educatore è sottoposta alla sfida del tempo, viene costantemente messa alla prova e deve essere continuamente riconquistata. Le età della vita sono profondamente mutate: oggi è venuto meno quel clima di relazioni che agevolava, con gradualità e rispetto del mondo interiore, il passaggio alle età successive. La sete di conoscenza e di relazioni amicali caratterizza i ragazzi, che accolgono l’azione educativa quando essa è volta non solo al sapere, ma anche al fare e alla valorizzazione delle loro capacità. L’esperienza cattura il loro interesse e li rende protagonisti: è riscontrabile quando sono coinvolti come gruppo in servizi verso gli altri. Il processo educativo è fortemente legato alla sfera affettiva, per cui è rilevante la qualità del rapporto che l’educatore riesce a stabilire con ciascuno. Per crescere serenamente, il ragazzo ha bisogno di ambienti ricchi di umanità e positività.

Educare alla vita buona del Vangelo n 31

Potenzialità e sinergie – Perché prenda forma un volto di comunità ecclesiale che nasce dal Vangelo e lo testimonia con la vita e la parola, occorre una conversione nella linea della comunione e della corresponsabilità. La forte affermazione «è finito il tempo della parrocchia autosufficiente» deve essere con coraggio estesa a tutte le componenti ecclesiali: associazioni, movimenti, forme di vita consacrata e ogni altro soggetto ecclesiale. Vivere e annunciare il vangelo costituiscono un’unica urgenza, che rende ormai improponibile all’interno della Chiesa una logica di semplice ripartizione dei compiti e tantomeno di diffidenza, di conflitto o di competizione. In questo quadro andrà sempre più studiata, per esempio, la specificità catechistica di movimenti e associazioni ecclesiali il cui apporto – sotto la guida del vescovo e in accordo con il progetto diocesano di catechesi – può essere di grande giovamento alle comunità cristiane e agli stessi gruppi associati. Occorre ricordare alla comunità cristiana come la presenza dei piccoli, delle persone disabili e di tutti coloro che a diverso titolo vivono la sofferenza – sia essa di tipo fisico, psicologico, morale, economico – abbia un valore insostituibile di testimonianza. Quest’ambito di vitalità evangelica e testimoniale delle nostre comunità va considerato e adeguatamente curato.

Incontriamo Gesù n 71

Iniziazione integrale – L’educazione alla fede non può ridursi, nell’azione pedagogico-pastorale di una comunità ecclesiale, ad un’opera di mera trasmissione di contenuti. È più di un insegnamento, è «un’iniziazione cristiana integrale».

Catechesi tradendae n 21

Un modello di accompagnamento – Accanto ad ogni «cercatore di Dio» deve esserci uno che in qualche modo possa dire: Dio esiste, io l’ho incontrato! Deve esserci qualcuno che sappia accogliere, guidare, insegnare, aiutare, sostenere, pro-vocare, consigliare, reagire, incoraggiare, proteggere, rassicurare. Nella Sacra Scrittura troviamo alcuni modelli di «accompagnatori»: l’arcangelo Raffaele, che accompagna il giovane Tobia; Filippo, che si fa compagno di strada dell’Etiope. Anche l’apostolo Barnaba si fece compagno di Saulo. Bella è la descrizione di «accompagnatore» e «padrino» che ne fece Benedetto XVI. Riascoltandone le parole, è il caso di sottolineare le «azioni» che descrivono l’«accompagnamento» di Barnaba:

  • Fu lui a farsi garante della conversione di Saulo presso la comunità cristiana di Gerusalemme, la quale ancora diffidava dell’antico persecutore (cfr At 9,27).
  • Inviato ad Antiochia di Siria, andò a riprendere Paolo a Tarso, dove questi si era ritirato, e con lui trascorse un anno intero, dedicandosi all’evangelizzazione di quella importante città, nella cui Chiesa Barnaba era conosciuto come profeta e dottore (cfr At 13,1).
  • Così Barnaba, al momento delle prime conversioni dei pagani, ha capito che quella era l’ora di Saulo, il quale si era ritirato a Tarso, sua città.
  • Là è andato a cercarlo. Così, in quel momento importante, ha quasi restituito Paolo alla Chiesa; le ha donato, in questo senso, ancora una volta l’Apostolo delle Genti.

Farsi garante, intuire l’arrivo del momento giusto, andare a cercare e riprendere, trascorrere del tempo assieme, introdurre in una famiglia più grande: sono tutti gesti caratteristici di chi accompagna, anche nella fede.

Il passaggio e il rinnovamento (riflessioni di fratel Enzo Biemmi)

Il problema alla radice: viviamo in un lungo tempo di passaggio da un modello di fede che possiamo definire “tridentino” ad un altro che ancora non trova una sua definizione, ma che può descriversi semplicemente come postmoderno o debole o liquido, prendendo in prestito queste categorie dalla sociologia e pedagogia dei nostri giorni. Sebbene siano trascorsi molti anni dalla conclusione del Vaticano II, sembrerebbe che le novità apportate dall’ultimo Concilio non abbiano interessato le strutture ma soltanto le attività, finendo col disperdere molte energie. Nel modello tridentino, nel quale ci siamo formati e che, a tutt’oggi, non sembra ancora aver recepito interamente gli spunti offerti dal Vaticano II, si situa il nostro fare catechismo che si caratterizza per cinque aspetti inconfondibili:

  1. una classe;
  2. un maestro (il catechista);
  3. un libro (il catechismo);
  4. un metodo: domanda e risposta;
  5. l’obbligatorietà (ad es. per fare la cresima servono 2/3 anni).

Questo modello ha educato infinite generazioni di uomini e donne. Nei contenuti esso è articolato nelle quattro parti tradizionali: quello che bisogna credere (il Credo), quello che bisogna ricevere (i sacramenti), quello che bisogna fare (i Comandamenti), quello che bisogna domandare (il Padre nostro e le preghiere). Molte cose sono cambiate: non facciamo quasi più imparare a memoria formule e preghiere; i contenuti si sono rinnovati (spesso impoveriti e sviliti); abbiamo modificato la pedagogia coinvolgendo i ragazzi e rendendoli attivi. Ma in fondo, la logica resta la stessa. Il nostro resta un impianto fondamentalmente scolastico, preoccupato della trasmissione di una serie di contenuti: conoscere bene ciò in cui già si crede! Questo modello si attua in un contesto specifico, un preciso modello di parrocchia: quello della parrocchia di cristianità. È una parrocchia incentrata sulla figura del parroco che ha come compito essenziale la cura animarum (cioè predicazione, catechesi, missioni popolari, catechismo per i sacramenti, la dottrina per gli adulti, le devozioni, i pellegrinaggi). Tutte queste cose fanno della parrocchia una agenzia di servizi religiosi per persone già credenti. La parrocchia non aveva il compito di generare alla fede, ma di nutrirla, curarla, renderla coerente. Non si può negare l’efficacia di questa serie di modelli, anzi, ne siamo così bene impregnati da non riuscire a intravedere percorsi nuovi.

Una buona notizia!

La colpa non è dei catechisti!

È un problema di nuova inculturazione della fede.

  • Due atteggiamenti sono da evitare: l’auto colpevolizzazione (di noi stessi come catechisti o parroci);
  • la colpevolizzazione (dei ragazzi, delle famiglie, della società).

Bisogna pensare insieme un nuovo modello. Tra i pochi che sembrano aver intuito e analizzato bene questo nuovo corso, c’è il nostro papa Francesco. Ma quanta fatica e quante resistenze.

Si suggerisce di provare in gruppo a condividere la seguente pista di riflessione.

QUALE CHIESA/CATECHISTA PER GLI ADOLESCENTI?

Una domanda: “Ma questi ragazzi se ne vanno dalla Chiesa dopo la Cresima, oppure non sono mai entrati?” (E. Biemmi)

  1. Una Chiesa/Catechista “dal volto giovane”

Che sappia incuriosire, farsi ammirare, attrarre; materna, ricca di doni, testimone, missionaria, cioè capace di parlare la loro lingua.

  1. Una Chiesa/Catechista “dal volto gioioso ed accogliente”

Che non li annoi, non li stanchi, non li deluda e non li opprima, ma una Chiesa dove vengono accolti con simpatia e con amore, nutriti con “pane buono e abbondante”.

  1. Una Chiesa/Catechista presente: amica e maestra

La Chiesa di cui hanno bisogno gli adolescenti non va inventata, ma rinnovata alle sue sorgenti: Credo, Sacramenti, Preghiera, Comandamenti.

  1. Una Chiesa/Catechista alla “se vuoi…”

Che non impone ma propone, non esige ma offre, non trattiene ma lascia andar via. Che sappia accettare un cristianesimo “imperfetto”, che ciò sia sospinto pazientemente verso la pienezza.

  1. Una Chiesa/Catechista dal volto del “Buon samaritano”

Che vede e non passa oltre, ma ha compassione, si fa vicino, fascia le ferite, porta alla locanda, estrae due denari… Guarda l’adolescenza con simpatia, anche quando può essere irritante. Comprende il suo linguaggio, le sue provocazioni, le sue richieste e il suo modo di chiedere, le sue lune, i suoi entusiasmi e le sue crisi. Che accetta che questo non sia il tempo della raccolta, ma del lavoro paziente e dai risultati incerti.

  1. Una Chiesa/Catechista “Emmaus”

Che si accosta e cammina “con” e chiede: “perché?”; risponde facendo ardere il cuore, fa come se dovesse andare oltre…; si fa riconoscere “nello spezzare il Pane”, in una “casa” calda ed accogliente. Che si accosta e cammina con gli adolescenti, rispondendo alle loro debolezze e alla mancanza di un progetto di vita. Risponde in modo da fare “ardere il cuore”, proponendo “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode… Tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8). Dando gratuitamente come gratuitamente abbiamo ricevuto. Senza imporre, senza chiedere, senza pretendere riscontri, lasciando andare e sapendo aspettare.

a cura di Paolo Simonetti