Il ritiro spirituale di Quaresima, svoltosi domenica 24 marzo, terza di Quaresima, in seminario, si è aperto con un ricordo dei missionari martiri nel mondo.
Padre Pio De Mattia, missionario saveriano, ha richiamato alla memoria una statistica pubblicata da Agenzia Fides, secondo la quale nel decennio 1980-1989 hanno perso la vita in modo violento 115 missionari. Il quadro riassuntivo degli anni 1990-2000 presenta un totale di 604 missionari uccisi. Il numero risulta sensibilmente più elevato rispetto al decennio precedente soprattutto in conseguenza del genocidio del Rwanda (1994), che ha provocato almeno 248 vittime tra il personale ecclesiastico. Negli anni 2001-2014 il totale degli operatori pastorali uccisi è stato di 343 persone. Nell’anno 2014 sono stati uccisi 26 operatori pastorali. Tali cifre sono comunque da considerare in difetto poiché si riferiscono solo ai casi accertati e di cui si è avuta notizia. Nei primi tre mesi del 2019 sono già 5 i missionari uccisi per il Vangelo. Concludendo questo triste elenco, Padre De Mattia ha esortato al coraggio di partire per la missione, anche nei nostri tempi così pieni di contraddizioni.
Durante la sua meditazione, Padre De Mattia ha parlato del catechista discepolo di Gesù. La parola catechista, che deriva dal greco, significa colui che istruisce a viva voce: il catechista è colui che presta la voce al Signore.
Cristo stesso è il catechista per eccellenza e poi intorno a lui si associano anche altri ai quali comanda di andare in tutto il mondo e portare il Vangelo. Anche Maria è una catechista. La prima devota alla Parola, colei che ha educato a questo ascolto il piccolo Gesù; colei che ha pronunciato il Magnificat, una catechesi stupenda sulla misericordia di Dio.
Ma quali sono i compiti del catechista? Mettersi generosamente a servizio delle tre esigenze della parola: conoscere, annunciare, amare. Occorre innanzitutto una preparazione dottrinale ma anche la cura della metodologia didattica e un costante aggiornamento religioso-culturale. Non può mancare, inoltre, una vita esemplare. Alla base di tutto si pone il mandato del vescovo.
Il Discepolo è colui che impara la parola, è a servizio di un maestro. Il discepolo ha a che fare con persone, le Persone Divine, il Verbo di Dio; perciò si deve rapportare prima con loro per non portare avanti opinioni personali. Il discepolo ha a che fare con la Parola: è questa la dimensione profetica. La parola si ascolta, si assimila, si annuncia. Nell’Antico Testamento, tutto ciò accade al popolo di Israele: nel libro del Deuteronomio, al capitolo 6, si parla del primato dell’ascolto. La Parola è un nutrimento continuo, come si legge nel Profeta Ezechiele: “Figlio dell’uomo, mangia ciò che ti sta davanti, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele”. Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, dicendomi: “Figlio dell’uomo, nutri il tuo ventre e riempi le tue viscere con questo rotolo che ti porgo”. Io lo mangiai: fu per la mia bocca dolce come il miele (3,1-3). Il catechista si nutre della parola per essere in sintonia con Cristo. Una sintonia di pensiero: “Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8); una sintonia di cuore e di sentimenti: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5); e come riferisce l’evangelista Matteo, Gesù dice: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (11,29).
Un altro aspetto è innamorarsi della Parola, vivere una esperienza affettiva. Cristo infatti è incarnazione della bellezza divina, come si legge nel Salmo 44: “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo”. Serve al catechista quello sguardo d’amore e quel desiderio che animava Giovanni Battista, il quale gioiva nel vedere la felicità dei suoi discepoli. Quei discepoli hanno incontrato il maestro, come l’incontro dello sposo con la sua sposa.
La sequela avviene in un modo concreto e pratico: la priorità dei piccoli, dare per ricevere, perdere la vita per trovarla, mettere il Signore al primo posto, il rispetto della persona umana, l’amore fraterno e comunitario, il servizio agli ultimi, la misericordia, la missione di evangelizzazione universale.
Al termine dell’incontro Padre Pio De Mattia ci ha fatto dono anche della sua testimonianza. Attualmente si trova a Taranto, ma per 43 anni ha svolto la sua missione in Africa.
Ci racconta che, dopo gli anni del Seminario, nel 1973 è partito per il Congo, ma negli ultimi 5 anni si è spostato in Etiopia. “La dove noi andiamo -racconta, nelle zone di primo annuncio, la missione è a tutto campo: promozione umana e annuncio del Vangelo. Scuole, dispensari, cooperative, attività per i giovani. Particolare cura è rivolta alle donne, per prepararle al lavoro e fornirgli l’istruzione”.
Nell’immenso paese del Congo la chiesa cattolica è maggioritaria, oltre il 55%, poi ci sono i protestanti; la presenza islamica si attesta intorno all’1%, più nell’est del paese.
La lunga permanenza in Africa ha dato la possibilità a Padre De Mattia di conoscere la lunga storia di questa zona del mondo. Ci racconta che gli arabi, già da molti secoli, avevano le loro basi in Tanzania, da lì partivano per esercitare la pratica della schiavitù e la deportazione di massa. La tratta degli schiavi è una loro antica consuetudine, ma nell’immaginario collettivo occidentale le responsabilità sono dei cristiani. La religione cattolica ha favorito la nascita della democrazia in quelle terre, anche tra mille contraddizioni. La Chiesa, inoltre, è stata presente fin dai primi dell’Ottocento. L’arrivo dei saveriani in Africa, invece, risale alla seconda metà degli anni Cinquanta. Il motivo è dovuto a fattori storici. I Saveriani sono stati fondati per l’evangelizzazione della Cina. Ma negli Anni Cinquanta, Mao espulse i cattolici dalla Cina; i saveriani decisero così di spostarsi anche in Africa.
Nel suo saluto finale, don Lucangelo De Cantis ha augurato ai catechisti e alle comunità una preparazione alla Pasqua sempre più intensa nella preghiera e nella fedeltà al Vangelo.
Paolo Simonetti