L'intervento di don Giuseppe Morante al Convegno del Settore Catechesi con i disabili - Taranto, Seminario diocesano

L’accoglienza dei disabili come “inclusione” comunitaria parrocchiale

Gli atteggiamenti che fondano l’ecclesiologia di comunione

La pastorale che favorisce la partecipazione dei disabili alla vita della comunità parrocchiale deve essere ispirata dai principi dell’inclusione, che costituisce una possibilità concreta che egli sia considerato dei nostri, superando l’atteggiamento della tolleranza o dell’assistenzialismo.

L’inclusione comporta perciò l’impegno cristiano a rendere la persona disabile soggetto a pieno titolo, secondo le sue possibilità, della vita parrocchiale. Deve essere normale che i disabili siano presenti alle attività pastorali. La comunità cristiana non può annoverare nel suo seno cristiani di serie diverse, operando delle discriminazioni. Il solo considerare che ogni persona è irripetibile (con i suoi pregi ed i suoi limiti) fa sì che nella comunità ci si consideri ciascuno con la sua specificità.

Questa opera di personalizzazione mette in luce che nelle cure pastorali, intese a superare i limiti delle persone disabili, si deve sempre partire dal considerarne il valore e promuoverne dignità, benessere e sviluppo in tutte le dimensioni e facoltà della persona (fisiche, morali, spirituali).

Lo stile di accoglienza condurrà la comunità cristiana a pianificare una pastorale che non ponga la persona al centro di un malcelato interessamento, in pratica emarginandolo nel quotidiano, ma prendendosi cura di lui come membro della comunità con particolari bisogni.

Solo a queste condizioni si eviterà quell’atteggiamento anticristiano che, purtroppo, ancora favorisce l’infantilismo o la presentazione puerile della religione.

Ci si chiede: è stata fatta opera di monitoraggio per conoscere situazioni, per interessarsi – come vera missione della Chiesa – di tutte le categorie di persone che fanno parte della nostra comunità?

Gli atteggiamenti che fondano l’ecclesiologia di comunione

Un forte impegno comunitario è necessario perché tutte le persone, senza alcuna distinzione, possano crescere nella fede della Chiesa.

In comunità bisogna favorire l’assunzione di alcuni atteggiamenti.

  • Conoscere le persone disabili presenti nel proprio territorio attraverso indagini, centri di ascolto, osservatori di monitoraggio sociale orientati a scoprire e recensire situazioni di disabilità esistenti. Si tratta di un’opera che nell’ambito territoriale della parrocchia porta immediatamente a due benefici: Permette una prima sensibilizzazione pastorale della comunità che incomincia a rendersi conto di “chi manca abitualmente in parrocchia, e per quale motivo”. I disabili battezzati che non partecipano alla vita della comunità, forse non ne sono sempre responsabili in prima persona. E questo vale soprattutto per chi ha bisogno materiale di essere aiutato da chi è “normale”; migliora la vita comunitaria nell’incentivare e facilitare la disponibilità all’accoglienza, all’offerta di aiuto e alla collaborazione “missionaria”.
  • Accogliere le persone disabili, offrendo coinvolgimento e amicizia nella vita della comunità. Senza una preventiva conoscenza della situazione, si può essere portati a pensare che il loro stato non ci tocchi, non è compito nostro. Questo distacco psicologico favorisce la logica della delega che scarica su alcuni specialisti un compito comunitario che appartiene a tutti i cristiani. Chi arriva prima degli altri ad essere sensibilizzato al problema della disabilità troverà le modalità concrete per favorire questo clima di accoglienza, con opportune iniziative che siano più capaci di sensibilizzare. C’è sempre bisogno che qualcuno incominci, perché altri comprendono che “è possibile”, e si coinvolgano nella testimonianza della solidarietà e del servizio.
  • Rivolgere la dovuta attenzione alla famiglia della persona disabile, che non deve essere lasciata sola col proprio problema, ma va aiutata ad assumere un atteggiamento sereno nei confronti del limite. Ciò diventa possibile se scopre solidarietà, se vede disponibilità, se trova possibilità di condivisione nell’affrontare i disagi relativi alla vita dei figli disabili. Per analogia, se i problemi dell’educazione scolastica e dell’integrazione sociale non possono essere risolti senza l’aiuto dell’insegnante di sostegno e di strutture sociali adeguate, anche per un inserimento nella vita parrocchiale c’è bisogno di tanti che si facciano carico concreto di questa responsabilità “di sostegno”.
  • Valorizzare i carismi delle persone in difficoltà, comprese quelle con i problemi di disabilità. Ripartire dagli ultimi, ricordando che la Chiesa è un mistero di comunione per tutti. Per questo intervento concreto bisogna prima di tutto superare la mentalità dell’efficienza, sapendo che è sufficiente chiedere a ciascuno quello di cui è capace. È necessario stimolare questa creatività dei singoli; nella comunità si possono affidare tanti piccoli servizi anche ai “disabili”, ciascuno secondo quello che può e sa fare. Questo compito fa superare gli atteggiamenti diffusi della compassione, incoraggiando e offrendo la possibilità di misurarsi con le proprie forze ed aiutando a comprendere e a fare ciò di cui si può essere utili, nonostante i limiti…
  • Superare la mentalità assistenzialistica, sostituendo “l’agire per” con “l’agire con”. Le azioni descritte precedentemente portano esattamente verso il superamento dell’atteggiamento di autosufficienza e del bisogno degli altri. Purtroppo, questa mentalità è ben radicata anche in tanti cristiani ben sistemati nella cultura del profitto e dell’efficienza.
  • Offrire la possibilità alle persone disabili di accedere di norma anche alla catechesi ed ai sacramenti. Anche esse, come gli altri uomini e donne, devono poter crescere nella fede. In questa prospettiva è necessario convertirsi da una catechesi vista solo come conoscenza delle verità. Per le situazioni di gravi disabilità, si può fare riferimento alla consapevolezza e alla fede della comunità. Qui il problema non coinvolge solo il singolo catechista, ma pastori ed educatori, cioè tutta la comunità con le sue istituzioni, compreso il Consiglio pastorale. Richiede una programmazione che rispetti il cammino possibile e personalizzato di ciascuno, favorendo l’integrazione in piccoli gruppi di catechesi sistematica, superando ostacoli fisici, adottando accorgimenti per la comunicazione con contenuti graduale…
  • Eliminare insieme alle barriere psicologiche anche quelle visibili architettoniche che impediscono materialmente la presenza abituale dei disabili nelle assemblee cristiane. Il vero ostacolo non è dentro la persona del disabile, ma fuori nel proprio ambiente di vita.
  • Trasformare le parole e gesti dell’Eucaristia e di tutti sacramenti in modo da renderli facilmente accessibili, senza creare testi e momenti diversificanti.
  • Preparare pastori, catechisti, animatori e collaboratori a tradurre le espressioni tipiche del nostro linguaggio ecclesiale in segni e gesti comprensibili da ogni persona, e non solo da esperti che “sanno”.
  • Realizzare l’inclusione dei disabili in ogni rapporto abituale tra persone: nei gruppi catechisti, giovanili, scoutistici e nei vari momenti di aggregazione, per promuovere la loro accettazione nella mentalità, nella realtà abitativa, in ogni momento della vita sociale.
(cfr. Giuseppe Morante, D come diversità. Cinque sentieri per l’inclusione dei disabili in parrocchia, Elledici 2011)

A cura di Paolo Simonetti